Il morbo di Alzheimer prende il nome dallo psichiatra che l’ha scoperta, nel lontano 1906: da allora è una delle patologie più studiate al mondo. Si tratta di una malattia a carattere neurodegenerativo caratterizzata da declino cognitivo progressivo e perdita di memoria, che conduce inevitabilmente alla completa perdita di facoltà mentali e, in fine, alla morte.
È la più comune causa di demenza negli anziani, rappresentando circa l’85% di tutti i casi di demenza, la sua incidenza aumenta dopo i 65 anni di età arrivando a colpire 9 persone su 1000 tra i 75 e i 79 anni e 40 su 1000 dopo gli 85 anni e, secondo le stime attuali, verrà diagnosticata in 1 persona su 85 entro il 2050.
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Cause e fattori di rischio
In una prospettiva così catastrofica appare evidente l’importanza da parte degli studiosi di scoprirne la causa e individuare una cura, che attualmente, non esiste ancora. Infatti pur essendo stata associata all’accumulo nel cervello delle cosiddette placche amiloidi e dei grovigli neurofibrillari, la causa della malattia non è nota, così che l’unica terapia disponibile è volta a ridurre la sintomatologia e a rallentarne il decorso.
Tuttavia evidenze recenti in letteratura indicano che oltre ai casi giovanili, in cui la malattia ha chiari basi genetiche, fattori come infezioni periferiche, danni piastrinici e stress ossidativo potrebbero, determinando l’infiammazione nel tessuto cerebrale, giocare un ruolo importante nella patogenesi della demenza nella malattia di Alzheimer.
I sintomi dell’Alzheimer
L’Alzheimer è una malattia con un esordio subdolo, perché molti dei primi sintomi sono attribuiti al fisiologico invecchiamento, o allo stress. Uno dei primi segnali è la difficoltà a ricordare cose apprese di recente e ad acquisire nuove informazioni, insieme alla difficoltà a ricordare nomi e parole. Il corteo sintomatologico è in realtà piuttosto vario e va dai disturbi d’attenzione, all’apatia, fino alla depressione.
Col progredire della malattia, le amnesie diventano più ricorrenti, più importanti, fino a coinvolgere la memoria a lungo termine, così che il malato sviluppi incapacità anche nel riconoscere i parenti più stretti, mentre appaiono più evidenti le difficoltà nel linguaggio, nella lettura e nella scrittura. In questa fase intervengono anche dei disturbi comportamentali e dell’umore, così che si alternano stati di irritabilità a pianto e a fasi di apatia.
Col tempo il malato perde ogni forma di autosufficienza, sviluppando incontinenza urinaria, perdendo la parola e le più banali capacità comunicative.
L’Alzheimer e altre malattie
In realtà è già noto che alcune patologie come il diabete mellito, l’ipertensione, l’iperlipidemia, patologie croniche renali, depressione, infarto cardiaco, lesioni traumatiche cerebralli sone associate con il declino cognitivo. Il dato davvero interessante è legato al fatto che anche la malattia parodontale, quale infezione/infiammazione cronica periferica, è stata associata al morbo di Alzheimer.
Già da tempo sappiamo che la parodontite è associata a numerose patologie infiammatorie, incluse malattie cardiovascolari, aumento di rischio di infarto e ictus e diabete mellito. Si suppone che la parodontite potrebbe influire sulla degenerazione cerebrale attraverso l’infiammazione prodotta dai batteri parodonto.-patogeni, come Porphyromonas gigivalis e streptococcus sanguinis, già responsabili del danno vascolare e endoteliale tipico di altre malattie.
Allo stesso modo anche il morbo di Alzheimer, condiziona fortemente la prognosi della malattia parodontale, favorendone anche l’insorgenza, dal momento che i soggetti affetti non sono più in grado di provvedere autonomamente alla propria igiene orale.
Cosa fare in questi casi?
Nel frattempo che la ricerca trovi le risposte di cui abbiamo bisogno per impostare una terapia valida, l’unica strada per agire sul morbo di Alzheimer sembra sia quella della prevenzione: uno stile di vita salutare, esercizio fisico e mentale sono considerati dagli scienziati fattori protettivi. In quest’ottica appare sempre più chiara, quindi, l’importanza di curare la propria salute orale, che diventa una condizione fondamentale per il benessere totale della persona, anche di quello mentale.
Quindi se le gengive sanguinano spesso, prenotare una visita da un parodontologo diventa un imperativo: innanzitutto perché se siete affetti da parodontite, potete curarla senza intervento chirurgico e salvare il più possibile i vostri denti, in secondo luogo, perché se da un lato riducete il rischio di infarto e ictus, dall’altro probabilmente limitate anche quello di Alzheimer, che di sicuro male non è.
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